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ANORESSIA

Il cibo non è soltanto la nostra fonte di nutrimento ma si fa veicolo di significati “altri”, che un adeguato percorso di psicoterapia può consentire di di-svelare.
Ci sono persone che usano il cibo per esercitare il controllo/potere, che non riescono ad esperire in altri domini della propria vita e quindi decidono in piena autonomia, quando assecondare la propria fame e quando invece non soddisfarla.

anoressiaPer altri, il cibo rappresenta un "contenuto" di cui riempirsi per poi svuotarsi, perché in esso si trasferiscono delle componenti emozionali o meglio ancora dei vissuti da  cui non riesce semplice liberarsi, ad esempio, verbalizzandoli. Il cibo può essere uno strumento di manipolazione, sugli “altri significativi”, per ottenerne l'affetto o le attenzioni.
Nel caso dell’anoressia, il problema non è tanto il cibo, quanto l’atto del cibarsi che acquisisce un valore carico di significato.
Secondo la prospettiva sistemico-relazionale, tale problematica è da indagare anche dal punto di vista familiare. Può accadere, infatti, che  “dietro” l’anoressia si celino conflittualità familiari o dinamiche disfunzionali che necessitano di attenzione e approfondimento.
Spesso, queste pazienti, per lo più, ma non solo, donne, vengono descritti dai genitori come delle bambine ubbidienti, eccellenti a scuola, che aiutano in casa e che mai hanno dato problemi.
Cosa si scatena “dentro” la loro mente?
Dal punto di vista psicologico, le pazienti con anoressia appaiono come fortemente inibite nell’espressione della propria componente emozionale. Pur essendo state “etichettate” in famiglia, come le figlie perfette, si scoprono, al momento dello slancio verso l’ambiente esterno, rappresentato dall’adolescenza, come deboli, perché impaurite all’idea di essere “esposte” all’occhio esterno e quindi eventualmente rifiutate o ridicolizzate. La loro scoperta le destabilizza, perché lede l’immagine di sé, che nel tempo hanno strutturato: ciò impone di correre prontamente ai ripari.
Dunque, il corpo diventa strumento di esercizio del proprio potere; non potendo sperimentare il potere “fuori” di sé, provano ad esercitarlo su sé stesse, arrivando a rinnegare il proprio bisogno alimentare. Rifiutando il cibo, guadagnano la percezione di autonomia, di controllo, di affermazione di sé.
Dalla pratica clinica emerge un’assenza di consapevolezza tra la negazione del bisogno di alimentarsi e l’andare incontro alla morte. Un paziente anoressico quando si guarda allo specchio, non si vede dimagrito, ma continua a vedersi grasso, presenta quindi un disturbo dell’immagine corporea.
Come agire dal punto di vista terapeutico?
La parola chiave ancora una volta è sinergia, tra le varie figure professionali: nutrizionista, psichiatra, psicologo-psicoterapeuta.
La psicoterapia va calibrata alle caratteristiche del caso clinico, ma, in primo luogo, vanno stabiliti degli obiettivi a breve, medio e lungo termine.
Il primo tra tutti: discutere insieme sui pro e sui contro di recuperare peso, per poi analizzare il significato che l’acquisizione di peso assumerebbe nell’economia psichica del paziente, non trascurando di inserire il sintomo in una cornice di senso familiare.

 

MEDICINA & PSICOLOGIA DELLA SALUTE
Simona Novi - psicologa, psicoterapeuta